La storia dell’arte è piena di curiosità e aneddoti sorprendenti, alcuni dei quali sembrano quasi incredibili. Uno degli episodi più affascinanti e al tempo stesso macabri riguarda l’uso di un particolare pigmento: il bruno di mummia.
Questo colore, come suggerisce il nome stesso, aveva una provenienza piuttosto insolita e controversa.
Il bruno di mummia non è solo un colore, ma racchiude in sé una storia che affonda le radici nel passato. La sua prima apparizione documentata risale al 1700, periodo in cui questo particolare pigmento cominciò a diventare popolare tra gli artisti per le sue qualità cromatiche uniche.
Il primo riferimento certo lo troviamo nel 1712, quando un negozio di forniture per artisti menzionò il bruno di mummia nel suo inventario. Ciò dimostra che già all’inizio del XVIII secolo questo colore era noto e utilizzato nell’ambiente artistico.
Colore prodotto da mummie sbriciolate
Nel 1797, Benjamin West, presidente della Royal Academy di Londra, contribuì a consolidare la fama del bruno di mummia attraverso un trattato in cui ne parlava come di un pigmento pregiatissimo. Secondo West, questo colore si otteneva dalle mummie sbriciolate ed era caratterizzato da tonalità intense, calde e vivaci. La sua descrizione contribuì non poco a incrementare l’interesse verso questo materiale insolito nella comunità artistica dell’epoca.
Il fascino esercitato dal bruno di mummia derivava non solo dalla sua origine peculiare, ma anche dalle sue proprietà estetiche. Il colore era apprezzato per la sua intensità e calore; poteva conferire alle opere d’arte una profondità emotiva particolare grazie alle sue sfumature vivaci ed enigmatiche.
Nonostante la popolarità goduta nei secoli passati, l’utilizzo del bruno di mummia ha incontrato inevitabilmente la fine. Fino al 1964 questo pigmento continuò ad essere impiegato in ambito artistico; tuttavia, come riportò la rivista Times quell’anno, l’ultimo fornitore disponibile dichiarò che aveva esaurito l’ultima scorta disponibile delle preziose “materie prime”, rendendo impossibile produrre ulteriormente il pigmento.
L’utilizzo delle parti fisiche delle persone defunte per creare colori da utilizzare nelle opere d’arte solleva ovviamente questioni etiche significative che hanno portato alla cessazione della produzione del bizzarro ma affascinante bruno di mummia come veniva chiamata questa tinta nei documenti storici francesi ed inglesi dell’epoca.
Riflessioni sull’eredità culturale
La storia del bruno di mummia ci lascia con diverse riflessioni sulla natura transitoria delle pratiche artistiche e sulle modalità con cui i materiali vengono selezionati e valorizzati nel corso dei secoli. Sebbene oggi tale pratica possa apparirci macabra o quantomeno discutibile dal punto vista etico-morale; essa testimonia tuttavia quanto fossero diversi i contesti culturali che hanno caratterizzato le epochee precedenti rispetto ai nostri standard attuali.
Quest’anomalia nella storia dei materiali usati nell’arte ci invita a considerare con maggiore attenzione le origini dei prodotti culturali che diamo per scontati oggi giorno; ricordandoci che ogni elemento ha una storia spesso complessa alle spalle – talvolta sorprendente quanto quella legata all’affascinante ma controversa vicenda del bruno di mummia.